Una delle principali sfide della strategia di Employer Branding è la capacità di trattenere i propri dipendenti.
Quando parliamo di trattenere, in termini di gestione dei talenti, intendiamo quelle azioni incentrate sul servire i collaboratori più performanti, o che sono considerati più preziosi, in modo che non vogliano abbandonare il loro piano di carriera all’interno dell’organizzazione.
Questo sforzo extra è necessario quando le dinamiche di lavoro non sono stimolanti, attraenti e/o favorevoli per far sì che le persone scelgano di rimanere in azienda per lungo tempo.
Un cambio di prospettiva
E se invece di pensare di trattenere, pensiamo che la cosa veramente importante sia motivare, sinceramente, fin dall’inizio. Nel libro International Business: Competing in the Global Marketplace by Charles W.L. Hill (University of Washington) and G. Tomas Hult (Michigan State University) segnala che “le aziende devono preoccuparsi di ciò che è veramente importante per le loro persone e, solo allora, saranno in grado di rispondere con una proposta di valore sviluppata intorno alle loro esigenze personali e professionali”.
Stiamo parlando di una strategia più positiva e futuristica. Come abbiamo detto nel nostro post precedente Miglior employer branding – Migliore coinvolgimento dei talenti, parlare di un’azienda che si preoccupa di motivare costantemente i suoi collaboratori, significa parlare di una gestione dei talenti che non guarda solo ai risultati tangibili ma anche a quelli intangibili; trasformando le azioni legate al Employer Branding in un vantaggio per l’organizzazione e le persone.
Il ciclo di talenti motivato
L’aspetto chiave è comprendere che avere collaboratori motivati è causa ed effetto di una buona strategia di Employer Branding. Può anche essere visualizzato come un ciclo infinito in cui:
- l’azienda identifica il suo talento ideale,
- risponde alle esigenze di questo talento per catturarlo,
- all’interno dell’organizzazione le persone sono costantemente motivate,
- i collaboratori diventano i principali promotori dell’organizzazione.
Abbiamo innalzato questo ciclo come “infinito” consapevolmente, tenendo conto che le motivazioni non sono statiche e che la trasformazione degli ambienti di lavoro portano anche a ripensare periodicamente la gestione organizzativa. Pertanto, il lavoro di miglioramento Employer Branding non finisce mai e risponde a varie variabili.
Non è un caso che una delle tendenze attuali sia l’employer experience, che mira a trasferire i concetti di servizio clienti alla gestione dei talenti, pensando ai collaboratori come “clienti” dell’area Risorse Umane.
Uno studio di Brandon Hall ha rilevato che il 52% delle aziende che preparano il processo di selezione pensando all’esperienza del candidato, ottengono un 10% in più di risultati; il 78% dei candidati con un’esperienza positiva ha dichiarato che consiglierebbe qualcuno per i futuri processi di selezione.
Secondo Irene Arensburg, People Matters Manager: “Trattare il candidato come cliente e progettare un processo di reclutamento e selezione in base alle loro esigenze è una scommessa per poter contare sul talento necessario per raggiungere la visione dell’organizzazione”.
La riflessione su questa tendenza, ci porta alla conclusione che, promuovere un buon employer branding è più di una strategia, è un’abitudine che viene messa in pratica in ogni decisione che viene presa all’interno dell’organizzazione.
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